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Mercoledì: ufficio chiuso ma reperibili telefonicamente e via e-mail
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Anello della trona grande

In collaborazione con Francesco Arrigoni - Foto di Francesco Triaca
 
Nel parco naturale delle Marmitte dei Giganti, tra Chiavenna e Piuro, si sviluppa un itinerario verso una delle più belle testimonianze delle antiche cave per l’estrazione della pietra ollare.
 
Il parco delle Marmitte dei Giganti è un’ampia area verde che si stende sulla sponda sinistra della Val Bregaglia, tra i comuni di Piuro e Chiavenna. Ciò che racconta lo rende simile ad un romanzo storico, se vi piace il genere, fitto di percorsi e sentieri lungo i quali si sviluppano narrazioni straordinarie che partono da ere geologichelontane. Compiere un’escursione in questa zona popolata da betulle, pini cembri e abeti, consente di vivere un´esperienza appassionante a ritroso nel tempo.
 
Francesco Arrigoni (nella foto) ha 26 anni ed è un geologo. Lavora a Chiavenna come assegnista di Ricerca presso la “Stazione Valchiavenna per lo Studio dell’Ambiente Alpino”, una sede del Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio” dell’Università degli Studi di Milano. La prospettiva del suo sguardo competente ci permette di interpretare le molteplici matrici storiche custodite dal parco. “Siamo in una realtà unica nel suo genere - ci spiega - dove differenti peculiarità geologiche si fondono in un luogo suggestivo e ricco di testimonianze di tempi lontani. In quest’area affiorano rocce che costituiscono i resti di un antico oceano, successivamente coinvolte nei processi legati all’orogenesi alpina e oggi esposte nel cuore delle Alpi. A ciò si aggiungono numerose forme del territorio, prime tra tutte le Marmitte dei Giganti, morfologie generate dall’operato dei ghiacciai durante l’ultima glaciazione, avvenuta in un periodo compreso tra 100mila e 10mila anni fa. E infine, ci sono i segni lasciati dall’uomo, nelle cave utilizzate per l’estrazione della pietra ollare”.
 
Il percorso è facile, parte da Chiavenna a poca distanza da Piazza Castello e prende quota rapidamente. Misura circa otto chilometri con un dislivello di 450 metri. Superate le prime scalinate e alcune esperienze di land art, ci si imbatte in una delle marmitte a cui faceva riferimento Francesco. L’acqua di fusione del ghiacciaio, una volta incanalata nei crepacci della calotta glaciale, trasportava in profondità numerosi detriti, più resistenti del substrato roccioso sottostante, che esercitando un’azione erosiva davano luogo a queste curiose forme a scodella.
 
Il percorso propone molti punti panoramici dai quali ammirare la vallata. Seguendo le indicazioni (molte in rifacimento) si giunge alla deviazione che porta alla Trona Grande. È l’unica, tra le tante, resa visitabile al pubblico. Una scalinata in ferro permette ai visitatori di affacciarsi sulla cava e con un po’ di fantasia, immaginare gli antichi piuraschi al lavoro mentre
estraevano i blocchi di pietra verde destinati alla produzione di pentole e vasellame.

Le pareti altissime della trona riportano ancora i segni dei colpi che i cavatori imprimevano con martello e scalpello. La pietra ollare, o steatite, è una roccia metamorfica, cioè che ha subito una serie di trasformazioni mineralogiche rispetto alla roccia originaria. E’ costituita principalmente da talco, clorite e magnesite. In questa zona è presente in numerose vene all’interno di rocce peridotitiche. La pietra ollare si riconosce dal colore verdegrigiastro, ma - come conferma Francesco - anche dalla sensazione “untuosa” che trasmette al tatto prodotta dalla presenza del talco. È una pietra tenera, molto duttile, impiegata in epoca antica per la produzione di ampi recipienti utilizzati per la cottura del cibo, le “olle”, da cui deriva appunto il nome.

Terminata la visita e iniziata la discesa verso Prosto, restiamo a osservare gli immensi monoliti prodotti dalle frane staccatesi dopo il ritiro dei ghiacciai, testimoni di un altro processo responsabile dell’evoluzione geologica del territorio. L’occhio attento di Francesco ci fa notare un blocco che si differenzia da quelli circostanti per colore e composizione. “È un masso erratico - ci spiega -. Dobbiamo pensare che questa zona un tempo era ricoperta da una coltre di circa un chilometro e mezzo di ghiaccio, delimitato soltanto dalle vette delle montagne che osserviamo oggi. Probabilmente, questo blocco è stato lentamente trasportato a valle dal ghiacciaio, per poi essere deposto sulla superficie topografica al termine del ritiro della coltre glaciale”. Ma questa è un’altra storia che si aggiunge alle tante che il parco racconta ai suoi ospiti.






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