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Storia e storie di Fraciscio

Testo a cura di Guido Scaramellini
Centro studi storici Valchiavennaschi


Credo che nessun toponimo abbia subìto da chi non è del posto tante storpiature quanto Fraciscio. Molto spesso ne si “addolcisce” la pronuncia introducendo una “n” e facendolo diventare Franciscio, probabilmente per assonanza con il nome Francesco, con cui non ha niente a che fare. Semmai, secondo don Tarcisio Salice può derivare da un verbo simile in latino medievale che significa rompere il ghiaccio. Certo è che in una pergamena del 1217 il paese è scritto Fragiscio.

A indicare che non era più un alpeggio stagionale per i pastori e allevatori del piano di Chiavenna, della bassa Valtellina e dell’alto Lario, è l’esistenza della chiesa di San Rocco, che ha una data precisa di costruzione: 1474. Lo testimonia lo storico e canonico Giovan Giacomo Macolino in un’opera del 1686, quando tuttavia la data, incisa sull’architrave dell’ingresso, era già stata coperta con della calce da “poco amatori e niente curanti dell’antichità”, com’egli scrive.
Fraciscio si è sviluppato sul primo pendio, sopra il quale è il pianoro di Motta, in una posizione esposta a sud e da cui lo sguardo spazia, oltre il torrente Rabbiosa (eloquente il nome!), sulla vasta lingua verde delimitata dai boschi di Mottàla, Gualdéra, Bóndeno fino ad Àvero.

La vita lassù fu dura, legata com’era alla pastorizia, all’allevamento a conduzione familiare e a quel poco che dava la terra, a cominciare dalle pregiate patate.
Con il ‘900 Fraciscio divenne sede di villeggiatura estiva dei chiavennaschi, che amavano la tranquillità e che nei primi decenni di quel secolo furono serviti dalla strada carrozzabile che sale da Campodolcino, progettata da un ingegnere, che fu anche valente storico: il comasco Antonio Giussani.
Se si prosegue sulla destra della valle della Rabbiosa, salendo verso nord si raggiunge l’alpe Angelòga a quota superiore ai 2000 metri, con la capanna alpina del Cai Chiavenna davanti al romantico laghetto, il tutto vigilato dalla mole del pizzo Stella, una delle vette oltre i 3000 della val San Giacomo. L’architettura tipica, di cui si vedono ancora oggi molti esempi, ha a Fraciscio una delle testimonianze più interessanti in valle, a due passi dalla chiesa: quella Ca’ Bardassa, che la Comunità montana ha aperto come museo.

Tra le personalità locali passate alla storia si ricorda il maggior pittore del Seicento nel territorio dell’attuale provincia di Sondrio, Giovan Battista Macolino nativo di Gualdera, ma soprattutto, per la sua vasta notorietà, don Luigi Guanella, che con capacità e tenacia da montanaro ha fondato tra Otto e Novecento istituti in tutto il mondo a favore dei meno fortunati. Si può visitare la sua casa con la raccolta “stüa”. Anche la chiesa, in occasione della sua beatifi cazione nel 1968, è stata ridipinta da Torildo Conconi con scene della vita del beato, perdendo il suo carattere di semplicità montanara. Ma qualcosa dell’edificio precedente è tornato da poco alla luce: nelle pareti del presbiterio sono emerse figure a mezzo busto di vari santi, corpulenti e solenni, pur nella loro sommarietà, forse quelli che fece in tempo a vedere da fanciullo anche don Guanella.
Nel pavimento davanti all’altare è sepolto un altro prete del luogo: monsignor Tomaso Trussoni, vescovo di Cosenza nei primi decenni del ‘900. E per il gran numero di religiosi, nati a Fraciscio negli ultimi secoli, i suoi abitanti sono e soprattutto erano chiamati Tèra santa, Maia Patér, Dotrinéta.

Oggi molto è cambiato e le vocazioni religiose, anche a Fraciscio come altrove, non crescono più come funghi. D’altra parte la popolazione stanziale è in progressiva diminuzione, ma per fortuna il paese non è stato abbandonato, com’è invece successo ad altri sul versante opposto della valle. A dare un po’ di vita, non solo d’estate, è a Gualdera la Casa alpina San Luigi, sorta sui luoghi dove don Guanella visse gli anni spensierati della fanciullezza e dove alcune statue in bronzo lo ricordano, così come nella piazza a lato della chiesa di Fraciscio, dov’è il busto in bronzo del cittadino più famoso del paese, vegliato dal campanile costruito a fine ‘700.



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